Quinto capitolo del mio racconto…

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Francesco non sapeva cosa rispondere. Era così assurdo quello che gli stava accadendo, che non riusciva a reagire. S’infilò in un vicoletto nell’ombra sperando di non essere visto da nessuno. “Pronto mamma!” “Tesoro, si può sapere dove sei?” “Mamma!” Continuava a ripetere Francesco. “Mamma, sì… ehm… io…” Non gli veniva in mente niente poi tutto d’un fiato… “Sono andato lontano!” “Come lontano? Lontano dove? E’ buio, non ti sei preso niente, vuoi tornare a casa?” “Mamma, mi sa che stasera dormo fuori” Fu la prima cosa che gli venne in mente. “Si, ho incontrato… un mio vecchio amico, sì e…. mi ha ospitato nel suo cast…  casa sua! Casa, sì. Torno domani va bene?” “Ma è succeso qualcosa? Parli strano.” “Non ti preoccupare mamma, sto benissimo, ti richiamo domani, a pranzo, ciao.” “Ciao amore, non prendere freddo e vai piano con quell’aggeggio!” Appena terminata la conversazione si rese conto che c’era ancora Brunetto che batteva le mani e fischiettava saltellando. “Puoi fermarti ora.” “Grazie Sir”. “Senti, cosa facciamo adesso ?” Chiese Francesco disperatamente. “Ora lo mio padrone ti attende nel suo castello. Ti ricordo che questa notte è una notte importante per Sir Gabbriello, e la cena di stas…” Non finì la frase che lanciò un imprecazione così forte che alcuni passanti si voltarono incuriositi. “Il fagiano che avevo promesso al mio signore!! Non l’ho con me!” “E dove è?” Chiese Francesco. “Bisogna cercarne uno, seguimi svelto!” Francesco si incamminò dietro Brunetto. Arrivarono vicino alla locanda del villaggio e Brunetto indicò delle anatre su un davanzale di quella che doveva essere la cucina. Nascosti dietro due grandi barili i due confabularono sul da farsi. “Io non sono un ladro di polli!”. Disse immediatamente sottovoce Francesco. “ Non sono polli, paiono anitre”. Fece notare Brunetto. “Polli o anitre, io non rubo niente a nessuno capito? Anzi sai cosa faccio? Me ne vado al castello”. Francesco fece atto di alzarsi per tornare indietro, ma si sentì trattenere per la camicia. “Sir la tua vita non varrà nulla senza di me, alla presenza di Sir Gabbriello, lo nome tuo sarà additato come nome di eretico all’istante. Solo io posso scagionare te dall’infamia e dire che di mestiere fai il giullare e usi telefono per mandare messaggeri con cavallo ma senza suono.. ehm… sagrato rea telefono che registra una voce… uhm… come era lo nome di registolatore?” Brunetto si stava arrampicando sugli specchi e non riusciva nemmeno a ripetere le parole che Francesco gli aveva detto poco prima riguardo al funzionamento del telefono. “Aiutami Sir, ti renderò il favore, il mio onore me lo impone”. A Francesco, guardandolo, venne in mente un gigante triste e per un momento gli fece quasi tenerezza. “D’accordo d’accordo, ma basta che non piagnucoli più ok?” Un largo sorriso sostituì quell’espressione triste sulla faccia di Brunetto. “Sentimi bene.” Francesco si avvicinò all’orecchio del compagno. “Il piano è semplice: tu ti affacci sulla porta del BAR, chiami il barista, gli parli del più e del meno, non so… gli dici… una balla qualsiasi, che so… che c’è stato un incidente grave, e mentre lo “intorti”, io prendo le anatre e me la do a gambe ok?” Francesco iniziò a sospettare che di quel discorso Brunetto avesse inteso poco, ma lui per tutta risposta si alzò e con passo deciso si incamminò verso la porta della locanda. Non appena fu sull’uscio gridò: “BARISTA!!” Francesco si mise le mani nei capelli. Intanto Brunetto continuava la sua parte. “Barista!” Il locandiere, un tipo poco rassicurante, visto le cicatrici e i tatuaggi che mostrava sul collo e sulle braccia, uscì dalla cucina chiaramente solo perché aveva sentito gridare e non perché si sentiva il “barista”. “Che hai da urlare? Qui non c’è nessuno che risponda a quello strano nome. Se vuoi da mangiare chiedilo, sennò vai ad urlare altrove!” Brunetto entrò. “Intorta” disse semplicemente, guardando con la coda dell’occhio soddisfatto Francesco, che si stava sbellicando dalle risate. “Vuoi della torta? Aspetta qua”. Il locandiere tornò con in mano un vassoio pieno di pasta al forno ripiena di glassa e qualcosa simile alla crema, ma che sicuramente era qualcosa di diverso. “Quanta ne vuoi?” Gli domandò. “Di più… di meno…” Rispose semplicemente Brunetto. Il locandiere iniziò a spazientirsi. “Ehi, di più o di meno?” A questa domanda Brunetto non sapeva che rispondere, e cercando Francesco con lo sguardo si accorse che era già in azione con la fase due del piano, così disse ad alta voce: “Una bomba qualsiasi che c’è stato un grosso incidente!” Il locandiere guardava Brunetto con un’espressione stordita ma allo stesso tempo indagatrice, ma non aveva capito assolutamente niente delle parole pronunciate dall’omone. “Grazie!” E detto questo Brunetto se la dette a gambe levate lasciando il pover’uomo con un vassoio di torta e tanta confusione in testa. 

 

(per leggere gli altri capitoli, sfogliare il blog)

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