Uno Squillo dal passato (capitoli successivi)

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E’ lo so che è tanto che non pubblico questo racconto.. ma d’altra parte prima o poi lo devo finire di pubblicare.. Se siete curiosi dei primi capitoli.. li trovate nel blog..

CAPITOLO UNDICESIMO

Ora il bosco era illuminato solamente dalla debole luce della luna che si trovava al suo primo quarto di fase. Francesco, ancora sotto shock non osava pronunciare una parola. Guardava Brunetto esaminarsi le ferite. L’omone si mosse verso di lui. “Stai bene?” “C-credo d-di si” rispose Francesco a stento. La ferita al collo per fortuna non era profonda. I denti del lupo non avevano causato gravi danni, solo una leggera lacerazione superficiale. “Ehi! Sono incastrata qua dentro!” Entrambi si erano completamente dimenticati di Giulia, che si era salvata immergendosi nel cespuglio di rovi, ma che ora stentava ad uscire. “Mi volete lasciare in questo inferno per tutta la notte?” Brunetto impugnò lo spadone e fece strada a Giulia, che dopo essersi assicurata di essere tutta integra, sorridendo si complimentò con i compagni, definendoli “buoni cacciatori”. “Dove eri finito? “Domandò Francesco a Brunetto. “Ad un certo punto non ho più sentito la tua spada e ho pensato al peggio” “Mi ero accorto dei lupi e appena li ho sentiti arrivare, trovandomi sotto vento, mi sono nascosto rimanendo immobile, aspettando una buona occasione per attaccare.” “E ci sei riuscito benissimo!” osservò Giulia contrariata. “Ancora un attimo e le mie gambe avrebbero fatto da banchetto! Speriamo che non tornino”. “Il fuoco ci proteggerà” vado a prendere la legna che avevo preparato”. Brunetto si avviò verso gli alberi, ma c’era qualcosa che non andava in lui. Vacillò, si riprese, ma subito dopo stramazzò al suolo. Francesco e Giulia corsero in suo soccorso. “Sto bene, sto bene” li tranquillizzò Brunetto, “solo qualche morso di troppo.” “Fammi dare un’occhiata”. Francesco si fece aiutare da Giulia che era più pratica ad accendere un fuoco senza un accendino e dopo qualche minuto, una fiammella brillò nell’oscurità. Avvicinando una torcia a Brunetto notarono che aveva entrambe le mani con profondi tagli, il corpetto era lacerato lasciando intravedere lembi di pelle graffiata. Ma la ferita più grave era sulla schiena. Infatti, cadendo, Brunetto aveva urtato un ramo spezzato, che gli era penetrato per circa dieci centimetri nella parte inferiore della schiena. Brunetto nella foga della battaglia non se ne era reso conto, ma ora tutti gli acciacchi si facevano sentire. “Non ce la può fare a proseguire.” Constatò Francesco. “Ci vorrebbe un medico, uno che s’intende di ferite. Domattina bisogna andare a cercare qualcuno, sennò non so come se la caverà il nostro amico.” “Forse il mago del bosco…” azzardò Giulia, ma Francesco scosse la testa sapendo la fama dei ciarlatani medioevali e la loro competenza in materia di medicina. “Unguenti magici e polveri d’ossa non faranno guarire Brunetto. Ci vogliono bende e ..” Francesco voleva dire antibiotici e penicillina, ma si rese conto che sarebbe stato inutile di fronte a due persone del medioevo, così aggiunse “…e dell’acqua fresca pulita. Domattina decideremo cosa fare, tu dormi, io rimarrò ancora un po’ sveglio, aspettando l’alba, poi mi darai il cambio va bene?” Giulia lo guardò, poi si avvicinò al suo viso. Era così vicina che poteva sentire il suo respiro, ora regolare. “Fai buona guardia”. E così dicendo le sue labbra sfiorarono quelle di Francesco, che non poté far altro che rimanere in piedi, senza pensare a niente.

CAPITOLO DODICESIMO

L a notte trascorse tranquilla. Alle prime luci dell’alba Giulia si svegliò e dette il cambio a Francesco, che senza tanti complimenti si addormentò subito. Quelle tre ore di sonno non furono molto rilassanti, ma portarono beneficio. Le sue ferite non gli facevano quasi più male. Brunetto invece si era lamentato durante il sonno e più volte Francesco si era chiesto se il suo amico ce l’avrebbe fatta a superare la notte. Purtroppo il lungo vestito di Giulia era bastato solo in parte a bendare alla meglio le sue ferite, anche perché la superficie dell’ omone era extra-large. Quando furono tutti e tre svegli decisero il da farsi. Parlò Francesco per primo. “Il bosco di giorno non dovrebbe essere così pericoloso, perciò per il tuo bene Brunetto, direi che forse è meglio che tu rimanga qui, in attesa che Giulia ed io ti portiamo i soccorsi. A quanto ho sentito non possiamo che rivolgerci al mago del bosco, visto che siamo troppo lontani dal castello. Io da solo non posso andarci perché non so la strada, perciò Giulia deve venire con me…” “E lo vorresti lasciare solo? In questo stato? Dopo che ci ha salvato la vita?” protestò Giulia. “Tu qui gli saresti solo d’impiccio. I lupi non torneranno. Invece sarai utilissima per portarmi dal mago e a convincerlo ad aiutare Brunetto. “Francesco ha ragione” intervenne l’amico “io qui starò al sicuro. Mia signora, segua il consiglio di Sir Francesco, la vostra saggezza sarà più utile al cospetto del mago che qui, accanto ad un comune servitore come me” “un servitore che mi ha salvato la vita” aggiunse Giulia solennemente, accarezzandogli la guancia irsuta. Francesco si inginocchiò accanto al suo amico. “Sei certo che le tue ferite non siano gravi? Voglio essere sicuro che quando torno con i soccorsi ti trovo qui ad aspettarmi capito?” “Brunetto dei Corvari non si farà fare la pelle da due cani rognosi ed un pezzo di legno!” Rispose orgoglioso, ma subito dette un colpo di tosse, poi un altro e un altro ancora. L’uomo si coprì la bocca con un lembo del vestito di Giulia. “Stai a vedere che s’è preso una bronchite!” Disse sorridendo Francesco a Giulia. Ma vedendo che la ragazza lo guardava con aria stupita, comprese che “bronchite” non era un termine da medioevo e lasciò perdere. “Va bene, noi andiamo e torneremo al più presto. Dai omone, ricordati che ne dobbiamo fare ancora parecchie insieme ok? Nella mia epoca avresti successo.” Gli strinse la mano gelida e Brunetto sorrise. Giulia si piegò su di lui e gli dette un bacio sulla guancia priva di graffi, poi lo salutò. “Aspettaci qui, Barone Brunetto dei Corvari, quando ritorneremo al mio castello mio padre avrà un nobile in più al suo cospetto. Brunetto chinò la testa con deferenza e rispetto. Sorrise senza dire niente. I due ragazzi partirono senza Brunetto, che li seguì con lo sguardo fino a che non si persero nella vegetazione. Allora mutò espressione, il suo respiro si fece più affannato. Il lembo del vestito che aveva in mano era intriso di sangue, e un altro colpo di tosse lo fece gridare di dolore. La vista gli si annebbiò. Dette un altro colpo di tosse e dalle sue labbra uscì un fiotto di sangue scuro, che gli colò sul corpetto. Aveva mentito, sapeva che la sua ferita era molto grave e che per lui non ci sarebbe stata via di scampo. Le forze lo stavano abbandonando. Ripensò a Francesco e a com’era cambiata la sua vita in due giorni. Ora era persino barone. Suo padre sarebbe stato fiero di lui. Stava morendo ma era sereno. Il suo debito era ripagato, il suo nome sarebbe stato ricordato. Dando un’ultima occhiata allo spadone di suo padre, chiuse gli occhi e la triste mietitrice lo portò nel regno dove tutto tace.

CAPITOLO TREDICESIMO

L’aria fresca del mattino, aveva rasserenato l’animo di Francesco. Procedevano a passo spedito lungo il sentiero, abbastanza facile da percorrere. “Che sai di questo mago?” chiese Francesco. “Non molto, so solamente che non è malvagio. Mio padre si è servito di lui una volta. Durante una battaglia i suoi incantesimi hanno fatto si che l’esercito avversario si impantanasse in un mare di fango. Non so come fece ma il risultato fu perfetto”. “Speriamo che sappia anche come curare un ferito, oltre che provocare alluvioni”. Il dubbio sulle reali capacità di questo mago, si fece spazio nella mente del ragazzo, molto preoccupato per la sorte di Brunetto. Finalmente, vicino ad un piccolo stagno, si presentò davanti a loro una torre in pietra alta poco più di cinque metri, le pareti erano ricoperte di rampicanti, ed in cima sventolava una bandiera azzurra consunta. Anche la torre non era ridotta bene. Crepe e smottamenti erano visibili in più punti. “Non ha un bell’aspetto” mormorò Francesco. “Sembra abbandonata. Proviamo a chiamare qualcuno… come si chiama il mago?” “Non lo so, te l’ho detto non lo conosco” rispose Giulia. “Ok ok farò a modo mio.” Mettendo le mani a coppa vicino alla bocca Francesco urlò: “Ehiiiii! C’è nessuno?” Si udì un tramestio di vasellame e suppellettili che cadono, poi un tonfo sordo, quindi silenzio. “Qualcuno o qualcosa ha sentito.” Costatò Francesco. I due ragazzi si avvicinarono alla vecchia porta di legno. Francesco non fece in tempo a sfiorarla che udirono un vocione imponente che li fece ritrarre subito spaventati. “CHI SIETE! ANDATEVENE PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI! O LA MIA IRA SCENDERÀ SU DI VOI!” Giulia fece per scappare, ma Francesco la trattenne per il vestito. C’era qualcosa che non andava in quella voce: troppo metallica, troppo falsata. “Non abbiamo intenzioni ostili” disse Francesco avanzando con le mani aperte, remissivo. “Non vogliamo farti alcun male, abbiamo bisogno del tuo aiuto, grande mago”. “CHI OSA CHIEDERE IL MIO AIUTO SENZA PERMESSO?” “Io, Giulia dei Bugetti, figlia del Duca di queste terre e quindi anche il tuo signore” rispose fiera Giulia. Udirono un altro rumore come di uno sgabello rovesciato, poi del coccio che si infrangeva. “Ah, bene ehm BENE! ASPETTATE UN ATTIMO CHE APRO IL SACRO PORTALE!” Altro tramestio, un gatto miagolò, e dopo pochi attimi la porta si socchiuse con un cigolio. “E questo sarebbe il sacro portale?” domandò ironico Francesco. “A me sembra un vecchio portone che sta cadendo a pezzi”. I due ragazzi entrarono. Si trovarono in una sezione circolare. Una scala a chiocciola portava ai piani superiori. Non vedendo altro, incominciarono a salire i gradini che scricchiolavano ad ogni loro passo. “Fai attenzione, non vorrei che fossimo trasformati entrambi in ranocchi” si preoccupò Giulia. Arrivati al piano superiore i ragazzi videro quello che doveva essere la stanza principale della torre che misurava all’incirca due metri di raggio. Davanti alla finestra vi era uno scaffale colmo di ampolle mezze vuote, alcune rovesciate, libri aperti, altri che riportavano strane lettere in una lingua sconosciuta. Poco più in la vi era un piccolo letto, lungo circa un metro e mezzo. La stanza era disseminata di panchetti e sgabelli, e il tavolo arrivava si e no alle ginocchia di Francesco. Al lato della scala c’era un alto scaffale colmo di libri e di polvere centenaria. “Signor mago, siamo qui, possiamo salire?” domandò Francesco. “SALITE! MUOVETEVI! MA NON OSATE TOCCARE NIENTE!” Salirono l’ultimo pezzo di scala. Francesco era quasi arrivato in cima quando l’ultimo gradino si frantumò sotto i suoi piedi e inciampando si ritrovò bocconi sul pavimento di legno. Si girò sulla schiena e quello che vide lo fece scattare in piedi immediatamente. Giulia cacciò un urlo e lo abbracciò. Davanti a loro si ergeva imponente una figura ammantata di nero. Era così alta che con la testa sfiorava il soffitto. La sua faccia era un’orrenda maschera grottesca e impressionante allo stesso tempo. I suoi arti si intravedevano appena al di sotto della veste, ma dovevano essere sorprendentemente lunghi perché il loro profilo scendeva fin sopra le ginocchia. “CHI SEI PICCOLO MORTALE! NON HO SENTITO ANCORA LA TUA PICCOLA VOCE DIRMI CHI SEI. VUOI FORSE CHE TI TRASFORMI IN UN PICCOLO ESSERE STRISCIANTE?! “No, signor mago, io sono Francesco e sono il giullare di corte di Sir Gabbriello.” “Mago, noi abbiamo bisogno del tuo aiuto. Sarai ricompensato dal Duca in persona per quello che farai.” Aggiunse Giulia. “IO NON PRENDO ORDINI DA NESSUNO, PERCHÉ SONO IL GRANDE MAGO GRAZIANO DEI BENILDE E NON HO BISOGNO DI RICOMPENSE, NEMMENO DA PICCOLE PERSONE COME VOI!” “Ascolta mago” riprese Giulia “un nostro amico è stato ferito gravemente dai lupi, non so quanto potrà resistere. Ha perso molto sangue e quasi non pronunciava più il suo nome dalla debolezza.” Ora il tono di Giulia era quasi di supplica. “LA SUA FERITA PIÙ’ GRAVE ?” “Cadendo gli si è infilata una scheggia di dieci centimetri nella schiena, ma usciva poco sangue…” “RIUSCIVA A PARLARE?” “Non molto bene, era come se non avesse la forza di dare suono alle sue parole.” Il vocione così imponente per un attimo cambiò tono. “Allora non ce la farà, sarà già morto… ORA ANDATEVENE PERCHÉ’ IL GRANDE MAGO HA DA FARE I SUOI ESPERIMENTI, E’ PERICOLOSO STARE QUI!” Ad un tratto ciò uscì da dietro le sue spalle un bel gatto nero, che con un balzo andò a sistemarsi sulla testa del mago, proprio come fosse una cuccia, iniziando a leccarsi. Il mago smise di parlare e cercò di scacciare l’animale facendo dei movimenti decisi con la testa e cambiando tono di voce a tratti per lo sforzo. “IL GRANDE MAGO HA Finito DI PARlare con VOI ANDATEvene prima CHE sia troppo tardi VATTENE ANCHE TU BESTIA MALefica ho detto vattene!” La sua voce cambiava tono continuamente, come se avesse degli improvvisi attacchi di afonia. Poi la figura cominciò a dondolare, dei suppellettili caddero, un mobile si spostò e, continuando ad imprecare, il grande mago cascò in avanti come un albero reciso, provocando un fracasso assordante di pentole e coperchi. I due ragazzi si ripresero dallo stupore solo quando la polvere causata dal crollo del mago si dissolse. Ora potevano vedere solamente stracci e cuscini misti a cotte di maglia arrugginite, elmi bucati, scolapasta e pentole. Poi la maschera prese vita e si mosse. Da dietro di essa sbucò una creatura alta poco più di centoquaranta centimetri, testa rasata e una faccina sorridente: “Bè, io sono il mago Graziano, molto lieto.” E porse una manina aspettando una stretta di mano che non arrivò mai.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO

E così tu saresti il “grande mago” protestò Francesco. “Bè io in effetti non sono grande fisicamente, ma la mia mente può tutto. Io sono il grande mago Graziano dei Benilde e…” “Sì, sì, lo sappiamo chi sei” lo interruppe Francesco “visto che sei un grande mago, puoi aiutarci o no?” “Il vostro amico ferito nel bosco intendi?” “Certamente, lui e forse anche io ho bisogno del tuo aiuto”.
“Ti ho già detto ragazzo, che con quella ferita, il vostro amico non ce l’avrà fatta sicuramente, ascolta una persona che di ferite se ne intende. Alla scuola di magia che ho frequentato, ho fatto anche delle lezioni sull’argomento sai?” Disse fiero il piccoletto. “E’ impossibile!” urlò Francesco “io non lascio Brunetto in pasto ai lupi! Tornerò da lui, immediatamente” fece per muoversi, ma Giulia lo trattenne. “Francesco, il mago ha ragione. Anch’io mi ero accorta della gravità della ferita di Brunetto, non te l’ho detto perché mi sembrava inutile metterti ancora di più in agitazione. L’ho salutato e benedetto anche a nome tuo e sono sicura che è morto felice.” “E così anche tu sapevi che sarebbe morto!” Francesco la guardò con rabbia. “Me lo avresti dovuto dire, l’avrei salutato come meritava, era mio amico!” “E cosa sarebbe cambiato? Ti ha visto andare a cercare aiuto per lui, credimi era felice per il tuo riguardo nei suoi confronti, un vero onore.” “Lo vorresti lasciare in pasto ai lupi? Senza una degna sepoltura?” “No, questo mai. Domani torneremo al castello e manderò i miei servitori a prendere il suo corpo. Sarà seppellito nella cappella di famiglia.” L’ometto si fece avanti un po’ in imbarazzo.
“Sentite… mi dispiace per il vostro amico, ma se non c’è altro io avrei cose più importanti che stare a chiacchierare con due profani della magia come voi. Mi attendono grandi esperimenti oggi.” “Aspetta mago” lo interruppe Francesco “ci sarebbe un altro problema…” “Come un altro? Ma per chi mi avete preso? Per un risolvi problemi? Io non sono…” “Taci!” urlò Giulia. “Taci, o sarò costretta a far intervenire le mie guardie, ricordati che mio padre è il tuo signore, non farmi perdere la pazienza.” Graziano fece per protestare ancora ma si rese conto che era meglio sottostare agli ordini della ragazza. “Come volete… in cosa posso esservi utile?” “Bene” disse Francesco “il mio problema è molto complicato. Io non sono di questa epoca, ma provengo dal 1997. Non so come sono capitato qui, ma in qualche modo devo tornare a casa, a tutti i costi. Dici di essere un mago molto potente ed esperto no? Quindi ti prego, aiutami!” Il piccoletto lo guardò con aria grave, poi tutto ad un tratto scoppiò in una risata fragorosa “Ah, ah, veramente divertente, ci stavo quasi per credere! Ma per chi mi avete preso? Io sono un mago serio e non tollero che mi si venga preso in giro! La mia famiglia proviene…” “E tornerà da dove è venuta se non lo stai ad ascoltare!” Intervenne Giulia.
“Ma suvvia, siamo seri, ditemi cosa vi serve senza girarci intorno. Oro facile? Una pozione per aumentare la forza? O…” Graziano ammiccò maliziosamente verso Giulia. “Un filtro d’amore?” “Niente di tutto questo, mago. Ti sto dicendo la verità, devi credermi!”
“Bah! Ne ho sentite fin troppe per oggi, mi dispiace vostra eccellenza, ma non posso fare niente per un “uomo del futuro” come voi. Che storie!” Graziano fece per andarsene ma Francesco allora tirò fuori il cellulare, l’accese “Guarda mago se non credi!” e lo fece squillare. Il nanerottolo rimase impietrito, vedendo il display che s’illuminava, cacciò un urlo e gettò sul pavimento della polvere che provocò una vampata. Quando il fumo si fu dissolto, del mago non c’era più traccia.
“E adesso dove è finito?” Domandò Giulia. “Non saprei proprio dove…” ma in quel momento vide che alcune assi del pavimento erano leggermente spostate e intuì il tranello del mago. “Mia signora, sembra proprio che Graziano il grande ci abbia lasciato, è davvero un grande mago” e strizzò l’occhio a Giulia. “Purtroppo per lui però io ho un rilevatore di persone nella mia mano, che quando capta un essere vivente a tre metri la fulmina all’istante con la sua potente bocca di fuoco. Proviamo subito”. Fece squillare il telefono. “Vediamo un po’ se c’è qualcuno nascosto”. Si avvicinò verso il nascondiglio del mago “ecco, ci sono, lo strumento sente qualcosa… si sono certo che il mago è…” non fece in tempo a finire la frase che il piccolo uomo saltò fuori dal nascondiglio come una lepre. “Tieni lontano quel marchingegno infernale da me! Non voglio finire fulminato! Sono qui mi vedi? Non scomparirò più te lo prometto!” Francesco continuò a recitare la parte. “E sia, per questa volta avrai salva la vita, ma ora devi starmi a sentire una buona volta.” Graziano annuì con la testa ancora spaventato. Si sedette su un piccolo sgabello e incrociò le mani sbuffando.
“Io vengo veramente dal 1997 e devo tornare a casa, capito? Questo oggetto che tengo in mano lo dimostra. Ho qualche speranza di rivedere casa mia? Puoi aiutarmi?” “Bè, io…” non riusciva a staccare gli occhi dal telefono. “Io, dovrei prima di tutto analizzare il magico strumento, potrei veder…” “Non ci provare nemmeno a toccarlo!” Lo ammonì Francesco. E’ pericolosissimo, ci potresti fulminare tutti all’istante!” “Ho capito, lasciatemi pensare, ho bisogno del mio laboratorio”. Graziano si avviò su per le scalette che portavano in cima alla torre. “Ci sarà da fidarsi?” chiese Francesco a Giulia “Non mi sembra un granché preparato.” “Mio padre parla molto bene di lui, un fondo di verità sulle sue capacità ci dovrà pur essere.” Si udì un “bip”, Francesco guardò il cellulare. La batteria si stava scaricando. Forse a sera non avrebbe più potuto né ricevere né chiamare, ma forse era un bene. Proprio mentre pensava a questa eventalità, il telefono squillò. Rispose subito. “Pronto!”
“Fra allora per stasera? Ci si vede alla solita ora? Ma hai fissato? Guarda che poi si rimane in piedi come l’altra volta… Fra mi senti?” La voce era quella del suo amico e collega che chiedeva lumi per una rimpatriata tra amici in pizzeria. “Oh ci sei?” “S-si ci sono, ma purtroppo io…”
“Ecco lo sapevo, non hai fissato! Guarda sei proprio un pressappochista, aveva ragione la prof. di geografia alle superiori. Io ho disdetto con la donna per venire stasera e te che mi dici?! Che non puoi vero? Perché lo so che ora mi dici che non puoi e anzi, m’inventi una di quelle scuse incredibili, come al solito, una scusa così inverosimile che se ti fosse capitata davvero non ci crederei… oh mi senti? Sei svenuto?” Francesco non sapeva cosa rispondere e si era completamente dimenticato dell’appuntamento ovviamente. Rispose con la prima cosa plausibile che gli venne in mente.
“Senti Marco, lo so che ti potrà sembrare strano, ma non mi trovo il Italia, sono all’estero e…”
“Ecco! Un’altra cavolata come questa ed attacco eh?” “Ma no, ti giuro Marco, stasera non penso di poter venire con te, mi trovo nei guai fino al collo, quando torno ti racconto ok? Ora lasciami per favore, se mi si scarica la batteria del cellulare sono nei casini, ti prego scusa ti chiamo io ok?”
“Si si ho capito, ci sentiamo, ciao.” Francesco guardò Giulia, con aria impotente e malinconica. Lei lo ricambiò con un sorriso che lo tirò su di morale. “Problemi?” “Non grossi come questo in cui mi trovo adesso” rispose Francesco. “Ma quel mago cosa starà facendo in cima alla torre? Non si è più fatto sentire. Si va a dare un’occhiata?” Giulia annuì e si incamminarono su per la scaletta. Una volta salito, Francesco sbucò con la testa fuori del pavimento di una stanzetta colma di libri, pentolame vario, alambicchi e mappe srotolate in ogni dove. Graziano era seduto di spalle, sopra un panchetto, con le gambe incrociate, rivolto verso il sole che filtrava da foro sulla parete. “Sta meditando?” chiese Giulia sottovoce. “Mmm non riesco a vedere bene da qui.”
Francesco uscì dalla botola e si avvicinò al mago con cautela. Lo guardò in volto e vide una bolla di muco che si gonfiava e si sgonfiava a ritmo costante dal naso. “Sta dormendo! Questo bastardo sta dormendo!” Con uno spintone lo fece rotolare giù dal panchetto. Il nano si svegliò di colpo. “Sono il grande mago! Chi osa…” Poi riconobbe i ragazzi. “Ah buon giorno!”
“Ma buon giorno un corno! Stavi dormendo!” “E certo per trovare una soluzione bisogna meditare… e può capitare che la meditazione troppo profonda induca al sonno, è basilare…” “No, è prendere in giro le persone!” “Ma mi ero solo leggermente assopito.” “Leggermente… Non ti avrebbe svegliato nemmeno una bomba!” “Una bomba?” Chiese il nano. “E’ un tipo di pozione?” “Lasciamo perdere. Giulia, ne ho abbastanza, torniamo al castello.”
Francesco scese le due scalette a chiocciola e arrivò al portone d’ingresso, lo aprì con violenza e… cacciando un urlo di paura, lo richiuse con la medesima, anzi, così forte che vennero giù pezzi di pietra ed intonaco. Fuori dalla torre c’era un uomo con il viso pitturato, un ghigno beffardo, ed in mano una spada lunga affilata. Francesco si mise con le spalle alla porta e cercò qualcosa per bloccarla. Prese un panchetto abbastanza robusto e lo mise a contrasto con la parete di pietra. Subito dei pesanti colpi si abbatterono sul portone. Corse su per le scale e andò a sbattere contro Giulia che veniva in senso opposto. “Ci attaccano!” disse la ragazza “Lo so!” e vide Graziano rotolare dalle scale con una freccia piantata nella schiena.

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